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QUANDO L’ANIMA SOFFRE IL CORPO SI AMMALA: DA IPPOCRATE AI GIORNI NOSTRI – DI ANTONIO GIORDANO

Updated: Jun 27, 2023

Originally published in Sud Reporter




La grecista francese Veronique Boudon Millot, ricercatrice alla Sorbona di Parigi, portò alla luce i testi di Galeno, medico personale dell’imperatore Marco Aurelio, del II secolo D.C. da cui si evince un frammento: “Non somatizzare il dolore, non trasferirlo al corpo, poiché lo spirito ha potere sul corpo e può farti ammalare”.


La Psicosomatica non è recente, se si pensa che Ippocrate, padre della medicina occidentale, vissuto tra il V e il VI secolo A.C., delineò: “la teoria umorale”, secondo cui il nostro corpo è governato da 4 umori: sangue, bile gialla, bile nera , flemma che a loro volta derivano dai quattro elementi della natura, aria, acqua, fuoco e terra. Quando essi sono “in equilibrio”, c’è forza vitale, che è forza curatrice. Quando, invece, lo spirito o soffio vitale- pneuma soffre, il corpo si ammala.

Quando soffriamo si alternano diverse sensazioni fisiche; dalla costrizione toracica alla sensazione di vuoto gastrico, dalla difficoltà di respirare alla mancanza di energia, ma anche alla sensazione tipica della bocca secca o dell’ipersensibilità al rumore. Queste sensazioni si acuiscono quando nascondiamo la sofferenza, introiettandola. L’esternazione delle emozioni è la strategia adattiva per evitare che lo stress, specie nel lutto, diano luogo a malattie cardiovascolari o infiammatorie. Secondo la rivista Psycosomatic Medicine, l’impatto del dolore sulla salute fisica e mentale, dopo la perdita del partner, può far ammalare, nel caso in cui non si esternino apertamente le emozioni.


Del resto lo stress correlato può provocare alterazioni del sistema immunitario e stati infiammatori diffusi, pur di natura non organica. Gli psicologi, attraverso alcune strategie comportamentali permettono al sopravvissuto, coniuge, figlio, amico, parente, di elaborare il lutto senza troppe conseguenze sulla sua salute. Le persone più “riservate”, coloro che esternano meno i loro sentimenti, mostrano livelli di infiammazione più alti rispetto a quelle più disposte a condividere il proprio stato d’animo.


Numerosi studi evidenziano quanto la parola possa “guarire il dolore”, perché quando l’anima soffre “in silenzio”, il corpo si ammala. E’ anche vero che Seneca scrisse: “Lieve è il dolore che parla, quello grande è muto”. Soffocare il dolore non è la strada, il suono della voce di persone di cui ci fidiamo ci consola, come il suono della voce della madre calma il neonato e agisce sul nostro sistema immunitario, rinforzandolo.


Viceversa la sofferenza scava come una goccia nella nostra anima, quando si insinua nelle pieghe delle nostre difese, esponendoci alle infezioni batteriche, alle malattie psichiche, addirittura agli incidenti domestici, per il calo di concentrazione e attenzione. “Ma la grande e tremenda verità, scriveva Pavese, è che soffrire non serve a niente”.


Non bisogna cedere alla sofferenza, ma “attraversarla” il tanto che basta; la scienza ci dice dagli 8 ai 12 mesi (in caso di lutto) e, poi, guardare avanti, raccogliendo le forze e trovando le risorse necessarie per uscirne fuori.


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