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Tristezza e depressione: il linguaggio del corpo e della mente, secondo la scienza

La prima va metabolizzata, non repressa, per evitare che sfoci in depressione


Understanding Sadness and Depression: A Journey Through the Mind and Body


Il confine tra tristezza e depressione è un tema che merita una riflessione approfondita. Il DSM definisce la seconda come un insieme di disturbi “caratterizzati da tristezza tanto grave o persistente da interferire con il funzionamento, l’interesse e il piacere che di solito proviamo nello svolgimento delle attività che ci stanno a cuore”.


La tristezza, invece è un’emozione causata da dolore, dispiacere che, ove persistente e pervasiva rispetto alla vita di una persona può costituire un sintomo depressivo. Di per sé non è patologica, né una condizione da eliminare a tutti i costi. Si manifesta in risposta a eventi specifici come: una perdita, una delusione, un cambiamento significativo, ed è un indicatore di alterazioni nella nostra vita. Diversamente dalla depressione, quindi, non compromette necessariamente le attività quotidiane, né ha effetti debilitanti sulla salute.


Al contrario, la ricerca psicologica e neurofisiologica ha dimostrato che può favorire una forma di introspezione utile, spingendo gli individui a riconsiderare priorità e obiettivi. Può costituire una sorta di “messaggio del corpo e della mente” che richiede riconoscimento, elaborazione e, soprattutto, metabolizzazione. Questo processo, che consiste nel dare un senso all’esperienza e trasformarla in una risorsa, può rappresentare un passaggio essenziale per la crescita personale e uno stabile equilibrio emotivo.


La tristezza, quindi, non è un elemento da sopprimere, ma un fenomeno da esplorare. Diversi studi confermano che non tutti i sentimenti di tristezza conducono alla depressione; tuttavia, la sua soppressione o negazione può contribuire allo sviluppo di una depressione. È fondamentale, quindi, imparare a riconoscere questa emozione come parte integrante della vita e, ancor più, a gestirla in modo sano.


Accogliere la tristezza significa dare a noi stessi il permesso di vivere un sentimento genuino e naturale. Questa consapevolezza favorisce l’auto-accettazione; il nostro corpo ci parla costantemente e, come accade con qualsiasi altro segnale di allarme, ignorarlo può portare a conseguenze. Piuttosto che temere la tristezza o considerarla una debolezza, dovremmo imparare a considerarla come un’alleata che ci aiuta a conoscerci meglio.


La depressione implica uno stato più complesso. Etichettarla esclusivamente come “malattia” può essere riduttivo, rappresentando, piuttosto un segnale di disagio profondo che coinvolge non solo il piano psicologico ma anche quello fisico, sociale e relazionale. Spesso, si manifesta come conseguenza di una tristezza non metabolizzata o non riconosciuta, che, nel tempo, si è trasformata in un senso di vuoto e di impotenza. Dal punto di vista scientifico, la depressione coinvolge alterazioni neurochimiche nel cervello, ma queste sono spesso il risultato, non la causa primaria, del disturbo. Considero la depressione come una chiamata all’attenzione, un messaggio della psiche che ci invita a esaminare in profondità le nostre vite, le relazioni e i nostri valori. È un grido dell’organismo che chiede di essere compreso. Pertanto, questi stati vanno affrontati nella loro complessità, non semplicemente soffocati con trattamenti palliativi.


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