Un team multidisciplinare di scienziati, guidato da Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Philadelphia, ha fatto una scoperta rivoluzionaria nella lotta contro il COVID-19.
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- Mar 14
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Il team, che comprende epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi, ha sviluppato un metodo statistico per identificare quali pazienti sono a più alto rischio o, al contrario, più protetti dalle forme gravi della malattia.
Questo approccio innovativo si basa sullo studio delle molecole dell'antigene leucocitario umano (HLA), note per il loro ruolo nel rigetto dei trapianti. Analizzando queste molecole, i ricercatori hanno scoperto modelli in grado di predire la suscettibilità di un individuo al COVID-19 o la sua potenziale resilienza contro di esso.
Questa scoperta potrebbe aprire la strada a strategie di prevenzione più mirate e piani di trattamento personalizzati.
"La prevenzione e l'identificazione dei pazienti ad alto rischio rimarranno sempre una priorità per il nostro istituto di ricerca", ha affermato Giordano. I risultati non solo migliorano la nostra comprensione della malattia, ma forniscono anche uno strumento prezioso per stabilire le priorità di cure e risorse durante future crisi sanitarie.
Questa svolta rappresenta un significativo passo avanti nello sforzo globale per combattere il COVID-19.
Gli scienziati trovano uno strumento rapido per identificare i pazienti ad alto rischio di COVID-19 grave
Immaginate che un batterio precedentemente sconosciuto, nuovo per le nostre difese immunitarie, emerga all'improvviso e si diffonda rapidamente in tutto il mondo, causando la morte di milioni di persone e un crollo economico dovuto all'interruzione della maggior parte delle attività lavorative in praticamente qualsiasi paese.
Immaginate, tuttavia, che la comunità scientifica sviluppi in tempi record un potente vaccino contro il piccolo batterio. Come scegliereste chi dovrebbe essere vaccinato per primo? Chi è ad alto rischio di sviluppare la forma grave della malattia mortale? Chi deve essere protetto con maggiore priorità?
Bene, se la storia vi è familiare, questo è ciò che è successo di recente con le pandemie di COVID-19 dovute all'infezione da SARS-CoV-2. Il mondo intero stava crollando, alle prese con così tante morti che non potevano nemmeno essere seppellite in un tempo decente e tutti i tipi di problemi politici, economici e psicologici. Nel frattempo, un gruppo multidisciplinare di scienziati guidato dal professor Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine, tra cui epidemiologi, patologi, immunologi e oncologi, si è unito per discutere la situazione e ipotizzare strategie per contrastare il virus mortale. Hanno iniziato a verificare se l'elevato numero di ricoveri ospedalieri per COVID-19 in alcune province italiane potesse essere associato a specifici determinanti genetici della popolazione residente. Hanno eseguito un cosiddetto "studio ecologico", guidato da Giovanni Baglio dell'AGENAS (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) utilizzando i dati sui ricoveri ospedalieri per COVID-19 del Dipartimento della protezione civile italiano e i dati genetici dal più ampio archivio locale disponibile: il Registro italiano dei donatori di midollo osseo. I campioni dei donatori vengono analizzati per determinare il loro genotipo dell'antigene leucocitario umano (HLA) e verificare la possibile compatibilità dei tessuti.
Le molecole HLA, chiamate anche Complesso Maggiore di Istocompatibilità (MHC), sono quelle che possono essere riconosciute come estranee (non self) dall'individuo ricevente al momento del trapianto di organi e determinano il rigetto dell'organo in assenza di adeguata compatibilità. In effetti, gli HLA sono molto diversi tra gli individui. "La ragione di questa diversità è che il ruolo degli HLA/MHC è quello di presentare microbi
proteine al nostro sistema immunitario per scatenare una potente risposta specifica contro il batterio a cui queste proteine appartengono.
Dal punto di vista evolutivo significa che all'interno della popolazione ci saranno individui in grado di montare una risposta immunitaria efficace, mentre altri alla fine soccomberanno alla malattia." Afferma Rita Emilena Saladino, esperta dell'Unità di Tipizzazione Tissutale del Grand Metropolitan Hospital di Reggio Calabria.
Associando semplicemente i dati HLA e l'incidenza del COVID-19 nelle province italiane, Pierpaolo Correale, Primario dell'Unità di Oncologia Medica del Grand Metropolitan Hospital "Bianchi Melacrino Morelli" di Reggio Calabria e colleghi, hanno identificato i geni HLA di classe I, HLA-C*01 e HLA-B*44, che sembravano permissivi all'infezione da SARS-CoV-2. Lo studio è stato pubblicato nel 2020 sull'International Journal of Molecular Sciences ed è stato il primo a mostrare il potenziale di un modo così economico e rapido per identificare gli individui a rischio, nonostante i limiti dell'approccio ecologico (HLA-B*44 e C*01 Prevalence Correlates with Covid19 Spreading across Italy.
Correale P, Mutti L, Pentimalli F, Baglio G, Saladino RE, Sileri P, Giordano A.Int J Mol Sci. 23 luglio 2020;21(15):5205. doi: 10.3390/ijms21155205.PMID: 32717807).
Per confermare l'analisi, Correale e colleghi hanno ulteriormente indagato l'associazione di incidenza HLA-COVID-19 durante le successive ondate pandemiche e quindi hanno eseguito uno studio "caso-controllo" analizzando i genotipi HLA dei pazienti ospedalizzati per COVID-19 in due regioni italiane, rispettivamente Campania e Calabria. Lo studio è stato possibile grazie alla collaborazione con Roberto Parrella, Direttore dell'Unità di Malattie Infettive Respiratorie, e il suo team dell'Azienda Ospedaliera Specialistica dei Colli di Napoli.
I risultati, pubblicati sul Journal of Translational Medicine (Springer Nature), hanno mostrato che l'associazione di HLA-C*01 e HLA-B*44 con il rischio grave di COVID-19 variava e alla fine si è persa dopo le prime ondate pandemiche, come ci si poteva aspettare considerando la coevoluzione sia del coronavirus che della risposta immunitaria.
Al contrario, l'espressione dell'allele HLA-B*49 è emersa come fattore protettivo ed è stata confermata dal successivo studio caso-controllo in Campania e Calabria.
"I nostri studi suggeriscono che l'approccio ecologico, basato su dati disponibili al pubblico, può essere utilizzato in emergenza come metodo rapido ed economico per determinare le priorità nella gestione dei pazienti e durante le campagne di vaccinazione", afferma Francesca Pentimalli, Professore di Patologia presso l'Università LUM di Bari e Professore a contratto presso lo Sbarro Institute della Temple University, che ha contribuito agli studi.
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