Secondo uno studio pubblicato su Jama Neurology nel 2016, un elevato numero di persone, che hanno assunto abitualmente inibitori di pompa protonica (IPP), protettori gastrici appartenenti alla famiglia del pantoprazolo, rabeprazolo, lansoprazolo o esomeprazolo hanno mostrato una maggiore incidenza di circa una volta e mezza in più di rischio da “insorgenza di demenza senile”. La relazione o per meglio dire la “stretta correlazione” tra questi farmaci e il declino cognitivo è stata riscontrata anche da uno studio dell’Università di Bonn, basata sulla osservazione continua e su base trimestrale di una popolazione specificamente dedita all’assunzione abituale di questa classe di farmaci. I risultati indicano che l’uso di IPP aumenterebbe il rischio di declino cognitivo nel tempo del 30%. La principale fonte di rischio sembrerebbe essere la cattiva assunzione della vitamina B12 e del magnesio, a seguito di somministrazioni prolungate di IPP.
Gli enzimi digestivi hanno bisogno per funzionare appropriatamente di un ambiente acido, ma l’assunzione di protettori gastrici “azzera” l’acidità, causando danni e contribuendo a formare delle macromolecole attive che stimolano la produzione di citochine infiammatorie, favorendo, quindi, l’insorgere di allergie alimentari ed intolleranze. E’ chiaro che, quando la somministrazione è sotto stretto controllo medico e per un tempo ragionevole e funzionale all’assorbimento di acidità in eccesso, non si verificano cambiamenti considerevoli a livello di compromissione e declino cognitivo. Ma quando si parla di utilizzo abituale e nel tempo, questo causerebbe tra le altre cose anche fenomeni “artritici” e un aumento negli anziani di incidenza di fratture al femore. Gli IPP vanno dunque limitati alla “fase acuta” dell’infiammazione o acidità gastrica, poiché l’uso prolungato potrebbe anche essere causa di forme tumorali specifiche dell’apparato gastrointestinale.
Non bisogna superare, quindi, le linee guida dei trattamenti, essendo dimostrato che gli IPP contribuiscono a creare un repentino avanzamento del declino cognitivo o l’incidenza della demenza senile in chi già compromesso, preferendo farmaci alternativi non appartenenti alla famiglia degli inibitori della pompa protonica.
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