Negli stati Uniti, la Fda (Food and Drug Administration) ha avviato un’indagine su alcuni pazienti che, a seguito del trattamento antitumorale Car-T, hanno sviluppato nuove forme di cancro. Ma come funziona questa terapia?
In sostanza, nel paziente vengono prelevate alcune cellule immunitarie, i linfociti T, poi modificate geneticamente cosicché aggrediscano il tumore. Più in particolare, le Car-T prodotte in laboratorio, possono dare origine a proteine dette recettori chimerici dell’antigene, che legandosi alle proteine specifiche della superficie delle cellule tumorali le trasformano in “killer di tumori”.
Tuttavia alcuni ricercatori hanno riscontrato che i linfociti T, nel tempo, si sono trasformati in cellule tumorali, provocando recidive aggressive o addirittura la morte dei pazienti.
E infatti, il rischio negativo delle Car-T consiste nella possibilità che possano liberare un carico genetico in un punto casuale del genoma e, quindi, attivare un potenziale gene tumorale, anche se è escluso che il nuovo materiale genetico possa provocare il cancro.
In realtà le terapie Car-T rappresentano una extrema ratio, rispetto alle tradizionali chemio e radioterapia, perché vengono utilizzate solo quando queste ultime risultano inefficaci. La stragrande maggioranza degli oncologi, quindi, continua ad essere favorevole al loro utilizzo, rappresentando la nuova frontiera dell’innovazione medica attraverso la riprogrammazione delle cellule del paziente.
È auspicabile, in ogni caso, monitorare attentamente i pazienti trattati con Car-T.
*Antonio Giordano, oncologo, fondatore e direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine della Temple University di Filadelfia e professore di Anatomia ed Istologia Patologica all’Università di Siena
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