Come l'uso eccessivo dello smartphone influisce sulla nostra salute mentale e relazionale
Originariamente pubblicato su: La Voce Di Newyork
Il cellulare rappresenta una sorta di “scatola nera”: custodisce i contatti di lavoro, il nostro mondo affettivo, i messaggi di posta elettronica, le app, i social e, forse, proprio per la sua multifunzionalità, assurge a regolatore e moderatore dell’angoscia da separazione dal partner, dai figli, dal lavoro e, in qualche modo, supplisce alla lontananza fisica e alla paura legata alla perdita di connessione con gli altri.
Del resto, i nuovi mezzi di comunicazione offrono l’opportunità di potersi “vedere” attraverso video, di interagire con foto e chat anche quando si è impossibilitati a telefonare.
In considerazione di ciò, il cellulare “gioca” con i diversi aspetti della nostra personalità, inducendo la necessità di “essere sempre presenti, costantemente rintracciabili,” e contemporaneamente esposti alla “disperazione” nel caso in cui si smarrisca, si rompa o più semplicemente venga dimenticato. Essere connessi è la regola, la quotidianità.
Il potere della connessione è quello di farci immaginare di essere in possesso degli strumenti per limitare gli imprevisti, per far fronte agli eventi sociali, per prendere decisioni di sviluppo di progetti a distanza.
Ma il cellulare soddisfa l’ulteriore bisogno di visibilità dell’essere umano e, molti, espongono sul web il proprio privato.
La conseguenza patologica è la dipendenza, che può sfociare in forme ossessivo-compulsive di condivisione di foto e video.
Per evitare questo inconveniente sarebbe sano prevedere un distacco dal nostro cellulare almeno per qualche ora al giorno e riappropriarsi della “dimensione del reale”, specialmente per gli adolescenti che, abusandone, rischiano una dipendenza pericolosa e un’alienazione e distorsione dei rapporti umani.
Al cellulare sono demandati i rapporti di amicizia, i sentimenti e, talvolta, anche la sessualità. Con una sana disconnessione possiamo riprenderci il mondo, il suo rumore e, soprattutto, la libertà di relazionarci, fuori campo, con qualche interferenza, sopportando il peso del soliloquio dell’anima.
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